You are here
Home > Il Settecento al cinema > Marie Antoinette: il Settecento è l’età contemporanea

Marie Antoinette: il Settecento è l’età contemporanea

Innanzitutto un consiglio, che vale per tutti i film in lingua straniera, ma per alcuni più che per altri: guardate Marie Antoinette in lingua originale. Gran parte della freschezza radiosa della pellicola si perde nel doppiaggio italiano. Molto di questo straniamento è da imputare al metodo esclusivo con cui Sofia Coppola ha messo insieme il suo cast: l’accurata selezione dei volti e delle voci ha infatti molto a che fare con un autentico studio di fisiognomica (disciplina che proprio nel XVIII secolo trova il proprio apice), attraverso il quale la regista intende non tanto restituire vita a personaggi cronologicamente lontani, quanto offrirci l’interpretazione psicologicamente ben determinata della protagonista, catapultata in territorio ostile. Ed ecco, ad esempio, la bruna, volgare Madame du Barry di Asia Argento (a scapito di un personaggio storico fisicamente e caratterialmente agli antipodi), l’apparentemente poco calzante Jason Schwartzman nei goffi panni di Luigi XVI, scelto però dalla Coppola sulla base di una particolare sensibilità personale, e così via. Per terminare infine con una Kirsten Dunst d’ascendenza germanica e con alle spalle esperienze personali in un certo senso prossime alla sovraesposizione della famigerata regina di Francia.

Sofia Coppola, "Marie Antoinette", 2006(Credits: Marie Antoinette © American Zoetrope 2006)
Sofia Coppola, “Marie Antoinette”, 2006
(Credits: Marie Antoinette © American Zoetrope 2006)

La stessa Coppola ci rivela che «tutto quello che abbiamo fatto è basato su ricerche riguardanti quell’epoca, ma il tutto è visto in chiave contemporanea. […] Non volevo realizzare un asettico film storico, con un freddo albo di inquadrature. […] Volevo che questo film permettesse al pubblico di capire cosa significasse vivere a Versailles in quell’epoca e perdersi in quel mondo»[1]. Già i titoli di testa ci presentano un primo fulminante ritratto della sventata ma generosa Marie Antoinette (che mai avrebbe pronunciato l’infamante «mangino brioches»): sotto le frizzanti note dei Gang of Four, ecco apparire la Dunst, che abbandona momentaneamente il suo languido ozio soltanto per assaggiare le delizie da cui è attorniata e per gratificare lo spettatore con uno sguardo diretto e dolcemente malizioso. Una chiara citazione dall’opera vitalissima e al contempo mortifera di Guy Bourdin, fotografo di moda che fu pupillo di Man Ray, e in particolare della campagna pubblicitaria ideata per lo stilista di calzature Charles Jourdan nel 1977[2]: il corpo della regina di Francia viene ufficialmente gettato in pasto ai lupi, come le levigate bambole-merce che popolano le foto di Bourdin, dalle quali si sprigiona un’intensità cromatica volutamente larger than life, a tratti insostenibile.

Sofia Coppola, “Marie Antoinette”, 2006 (Credits: Marie Antoinette © American Zoetrope 2006)
Guy Bourdin, “Charles Jourdan 1977”, 1977

La femminile, inusuale bellezza di Marie Antoinette sarà per decenni oggetto di pettegolezzo: la presunta incapacità di quel corpo di donna di produrre un erede, la chiacchierata amicizia con Madame de Lamballe e Madame de Polignac, che la voce popolare trasformerà in deliranti orge saffiche, l’ossimorica accusa di sfrenata lussuria e di innaturale frigidità l’accompagneranno per tutta la vita. La Coppola cerca invece di rivelarci la dimensione privata di questa quattordicenne malamente educata venduta come sposa a un paese straniero, e di sottolinearne fragilità e manchevolezze: ed ecco sfilare sullo schermo parate di dolci, stoffe, calzature, accessori di lusso, in quel tripudio da shopaholic con cui Marie Antoinette tentava di sfuggire a un matrimonio sterile, alla negazione di un’influenza politica concreta e alle sempiterne reprimende della madre, quella Maria Teresa d’Austria che le scriveva «non è la tua bellezza, che francamente non è molto grande, né il tuo talento né la tua vivacità (sai bene di non avere né l’uno né l’altra)»[3]. La colonna sonora, che alterna significativamente melodie dell’opera settecentesca alla new wave britannica e alle ipnotiche creazioni di Aphex Twin, la luminosissima fotografia e la sontuosità dei costumi, che dichiaratamente ricalcano la dimensione “edibile” di Versailles e del mondo tutto pastello e zucchero in cui la protagonista ripiega, la già citata scelta del cast, nonché la possibilità unica di girare all’interno della reggia di Versailles, fanno parte di un’attenta operazione di attualizzazione.

Sofia Coppola, "Marie Antoinette", 2006(Credits: Marie Antoinette © American Zoetrope 2006)
Sofia Coppola, “Marie Antoinette”, 2006
(Credits: Marie Antoinette © American Zoetrope 2006)

Operazione che infine si palesa nella citazione dell’opera pittorica di Élisabeth Vigée-Le Brun: la grande pittrice, ritrattista favorita di Marie Antoinette, compare in prima persona nell’atto di ritrarre la regina e i due figli, ed è interessante che il dipinto in questione non sia storicamente suo, ma dello svedese Adolf Ulrik Wertmüller. L’opera della Vigée-Le Brun, che come nessun altro riusciva a donare una sensibilità epidermica ed emotiva ai suoi ritratti femminili, viene dunque accostata, anche forzatamente, a quei momenti in cui la vita della sovrana in quanto donna si fa più intensa e sofferta, in particolare in relazione alla morte del figlio e al definitivo crollo della sua immagine agli occhi del popolo. I dipinti costituiscono un condensatore simbolico di un passato reale ormai cristallizzato: ciò conferma l’intenzione, più volte esplicitata, della Coppola e dei suoi collaboratori di voler dare vita alla vicenda di Marie Antoinette con un approccio fotografico, corrispondente a uno sguardo soggettivante, e attribuire alla pittura la funzione oggettivante che già era cara a Stanley Kubrick. Non sono casuali, dunque, le connessioni con le più disparate forme d’arte degli anni ’70-’80, ovvero proprio i decenni in cui maggiormente il Settecento influenza quel medesimo humus (perfino la moda, come mostrano le collezioni di Vivienne Westwood). Luca Malavasi ha ben sintetizzato la funzione culturale di Marie Antoinette, che per lungo tempo resterà pietra miliare con cui fare i conti: «non un film in costume, ma en travesti; non il racconto di un’epoca ma un’incursione nel suo immaginario, già mediatizzato e volgarizzato; non un film storico ma una recita o forse una festa», con cui Sofia Coppola pone degnamente fine al percorso cinematografico dedicato all’età dell’innocenza. Proprio con Marie Antoinette, la regista, «forse per chiudere la serie e congedarsi da un tema che viaggia e cambia con la sua stessa biografia, va alla ricerca di un prototipo o forse di un archetipo, e lo trova, non a caso, all’alba della Modernità europea, nel momento in cui l’oltraggio alla corona, i fermenti rivoluzionari e la riflessione illuminista […]gettano le basi della società contemporanea»[4]. Con quella che è stata criticata come imperdonabile lacuna e che è invece assoluta coerenza, la Coppola lascia infine la sua Marie Antoinette proprio sulla soglia di una traumatica età adulta, quando la Storia si fa carico di recidere brutalmente il fiore della sua giovinezza e la costringe ad essere davvero regina di Francia.

Please accept statistics, marketing cookies to watch this video.

[1] Dalle note di produzione di Marie Antoinette, disponibili sul sito web www.sonypictures.com/movies/marieantoinette/site, pp. 3-4 [traduzione mia]

[2] M. F. Genovese, Sofia Coppola. Un’icona di stile, Recco, Le Mani, 2007, p. 72 (nota n. 16)

[3] A. Fraser, Maria Antonietta. La solitudine di una regina, Milano, Mondadori, 2003, pp. 111-112

[4] L. Malavasi, Marie Antoinette, in “Cineforum: quaderno mensile della Federazione italiana dei cineforum”, n. 460, 2006, p. 11

CC BY-NC-ND 4.0 Marie Antoinette: il Settecento è l’età contemporanea by Pantoscopio - Cinema e Arte is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

0 thoughts on “Marie Antoinette: il Settecento è l’età contemporanea

    1. Grazie mille, Giovanni! Il mio punto di partenza è stata la mia tesi di laurea sul legame fra cinema e pittura del Settecento: alcuni articoli sono una sorta di “tesi in fieri” 😀

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top
Please accept [renew_consent]%cookie_types[/renew_consent] cookies to watch this video.