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Vatel: Storia, convenzione sociale e pittura

Roland Joffé, "Vatel", 2000Credits: Vatel © Gaumont e altri 2000

Ben lo spiega Gourville, storica figura di diplomatico e avventuriero al servizio del principe di Condé. I meccanismi che regolano la vita della società francese nel XVI secolo sono assai semplici: Luigi XIV è il Sole, Condé e gli altri nobili (che l’astuto sovrano si teneva ben stretti a corte, dipendenti dal suo favore e lontani da qualsiasi fermento di ribellione) sono i pianeti che gli ruotano intorno, mentre Gourville è a sua volta la luna di Condé. E proprio al pari del sistema solare, tali ingranaggi appaiono immutabili e spietati. Non vi è libertà alcuna per Gourville o per François Vatel (1631-1671), il maestro dei festeggiamenti e dei piaceri. Se non, per Vatel, il tentativo di estinguere la sua costante sete di perfezione, estetica e morale. Vatel (2000) di Roland Joffé è un film assai più profondo di quanto la sontuosa cornice potrebbe far credere. Anzi, proprio nella cornice si cela la spia figurativa della sua profondità, data dall’assonanza fra istanza sociopolitica ed estetica. La prima cosa che spicca ad occhi avvertiti è la peculiarità dei costumi, in particolare di quelli femminili: lo stile non rispecchia prettamente quello della moda seicentesca, quanto quello di taluni ritratti nobiliari dell’epoca, come prova la setosa, cangiante asimmetria degli abiti con cui furono ritratte Louise de la Valliére e da Anne-Marie-Louise di Borbone, duchessa di Montpensier. Entrambe le dame, non a caso assai vicine al re (l’una in quanto prima favorita ufficiale, l’altra in quanto cugina di primo grado ed esponente di spicco della Fronda in seguito redenta), sono assimilate a divinità del mondo classico: La Valliére è Diana, dea vergine della Luna e della caccia, casta e intoccabile in quanto intimamente legata a Luigi XIV, mentre la duchessa di Montpensier è Minerva, tanto guerriera saggia e feroce, quanto ricettacolo di femminilità.

Claude Lefèbvre, "Ritratto di Louise de la Valliére in veste di Diana", 1667 (Reggia di Versailles)
Claude Lefèbvre, “Ritratto di Louise de la Valliére in veste di Diana”, 1667 (Reggia di Versailles)
Pierre Bourguignon, "Anne-Marie Louise d'Orléans in veste di Minerva", 1672 (Reggia di Versailles)
Pierre Bourguignon, “Anne-Marie Louise d’Orléans in veste di Minerva”, 1672 (Reggia di Versailles)

Le dame che François Vatel incontra presso la dimora del principe di Condé godono della medesima aura divina, manifestata dai loro abiti. Esse sono a loro volta le numerose lune del Re Sole, le cui orbite non possono virare verso altre stelle. Solo una avrà la temerarietà di tentare la fuga, ma tale deviazione si dimostrerà effimera e proverà in via definitiva l’impossibilità di sradicare l’ordine prestabilito. I leggiadri canarini in gabbia di Madame de Montausier, di cui tutti hanno il potere di disporre e che non a caso segnano il primo incontro della dama con Vatel, si accompagnano alle figure allegoriche di prigionia che costellano il film: l’insofferente pappagallo incatenato di Vatel, il rintocco inesorabile degli orologi a scandire il tempo (che Ennio Morricone fa riecheggiare nella delicata, melanconica colonna sonora), la scioccante partita a carte della quale il maestro dei festeggiamenti finirà per essere l’ignaro premio. Proprio per la nostra consuetudine con l’estetica divinizzante della ritrattistica dell’epoca, il film ci appare più “vero”, più rispondente a quella rigidità gerarchica che dominava la società europea del Seicento: in contrasto con tale sereno, distaccato ingranaggio sociale, il film ci offre come dato di fatto, e questo è ammirevole e raro, la putrescente umanità di questi dei in terra, un’umanità più corrotta, marcia e ben piantata nel fango proprio perché rivestita di prezioso broccato.  Il re che tiene consiglio defecando e che cambia di posto a tavola le sue favorite come pedine su di una scacchiera; la regina che a sua volta si fa reggere il pitale da una serva; cortigiani che sfogano senza apparenti inibizioni i propri desideri erotici a pochi passi dagli illustri coinquilini. Ed è infine da evidenziare la complessa figura di Philippe d’Orléans, fratello del sovrano, a cui si dice fossero state affibbiate fin dall’infanzia vesti femminili per fiaccarne l’eventuale brama di regno, e che vediamo esercitare la sottile crudeltà che è ormai la sua unica forma di potere.

Roland Joffé, "Vatel", 2000<br />Credits: Vatel © Gaumont e altri 2000
Roland Joffé, “Vatel”, 2000
Credits: Vatel © Gaumont e altri 2000

Ma Vatel cerca, e in parte trova, la propria libertà nella dedizione alla creazione, alla trasformazione della materia prima in forma artistica, preannunciando l’identificazione dell’artista con Pigmalione che dona il soffio vitale alla propria opera, mito che conoscerà la sua maggiore fortuna proprio nel Settecento. Egli è schiavo del proprio talento solo nella misura in cui esso viene sfruttato per scopi d’interesse. Ma il momento della creazione è interamente suo. Nelle infinite tavolate, nella deliziosa varietà di frutti della terra e nel succulento catalogo di pietanze che il regista offre alla nostra vista possiamo anche riconoscere l’emergere della natura morta come genere pittorico prettamente barocco: nella natura che lo circonda l’uomo vede infatti una manifestazione del divino e, in quanto tale, la considera degna di essere rappresentata in ogni sua declinazione. Non solo: l’occhio cinematografico, in quanto particolarmente connesso con lo spirito barocco (che ha donato il primo impulso a quella ricerca estetico-culturale che sarebbe pienamente sbocciata nel XVIII secolo), si fa ideale strumento dell’esaltazione ultima della natura, di cui vede, inventa, fa scoprire i numerosi volti. Come barocca è la dimensione teatrale dei festeggiamenti messi in scena (appunto) da Vatel: essa costituisce lo specchio (non a caso elemento ricorrente nel film e a sua volta essenzialmente barocco) del teatro della corte di Luigi XIV, in cui si incarna e si esaurisce il teatro del mondo.

Roland Joffé, "Vatel", 2000<br />Credits: Vatel © Gaumont e altri 2000
Roland Joffé, “Vatel”, 2000
Credits: Vatel © Gaumont e altri 2000

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