
Una donna di straordinaria bellezza e illustre cultura, che seppe sedurre tutti gli uomini sul suo cammino tranne suo marito (che cercava altrove soddisfazione a pur notevoli appetiti). Una donna che fece coraggiosamente fronte alle sue ambizioni irrealizzate, sia di donna che di regina. Eppure, anche una donna in un mondo di uomini, ad eccezione di una madre che poteva permettersi un vero ascendente politico in quanto regina madre, italiana e probabile omicida esperta di veleni: del resto, era una Medici, una mercantessa fiorentina (ma con una dote golosa). Questa era la principessa di Francia Marguerite de Valois (1553 – 1615), detta familiarmente Margot, una degli ultimi discendenti di una dinastia ormai in disfacimento: i figli di Enrico II e Caterina de’ Medici sono (chi più, chi meno) tutti affascinanti, tutti corrotti, tutti dissoluti. E si renderanno colpevoli di una delle più grandi macchie che imbrattano la Storia francese.
Patrice Chéreau è stato abilissimo regista di teatro, ma in Italia lo conosciamo ancor meglio per i suoi film viscerali e al contempo palesemente debitori di un’estetica teatrale. Di tutti questi, La regina Margot (1994) si distingue per la bellezza ipnotica delle immagini e per la trasposizione crudamente realistica di un’epoca. Ispirato all’omonimo romanzo di Alexandre Dumas, il film segue piuttosto fedelmente le vicende narrate sulla carta. Ma se Dumas tratteggia spesso personaggi e vicende con ricchezza d’analisi ma una certa ingenuità, lo sguardo di Chéreau non è mai innocente, sempre consapevole e incurante di ferire, dunque molto ben allineato con la caratura dei personaggi che ci presenta. Interpretata da una Isabelle Adjani a cui la critica ha rimproverato un distaccato “ingessamento”, la Margot che ci troviamo davanti è forse l’unica Margot possibile: una bellissima statua dalla pelle lunare, levigata, ghiaccio bollente che si anima solo al tocco sapiente dell’amore. Il suo Hyacinthe de la Mole è protestante, come protestanti sono gli innocenti massacrati durante la Notte di San Bartolomeo, con cui i Valois intendono reprimere il pericolo di un’eventuale spaccatura interna al paese. Margot non è altro che un totem, simbolo paralizzato, strumento inerte di vendetta attraverso le sue nozze con il re di Navarra. «Siete un oggetto, siete una moneta di scambio, ostaggio dei vostri fratelli» le dice con rabbiosa saggezza suo marito, futuro Enrico IV di Francia. E la Notte di San Bartolomeo gli darà ragione.

Credits: La Reine Margot ©Claude Berri 1994
Chéreau non manca di gettare qua e là ombre molto concrete sui pretesi rapporti incestuosi fra Margot e i fratelli, che il più timido Dumas si limita ad accennare come diceria. Il tutto non con intento pruriginoso, ma come coerenti pennellate di rifinitura ad un quadro storico di rara crudeltà e altrettanto raro fascino. In quei giorni irrequieti si faceva la Storia dell’Europa: le guerre di religione insanguinavano intere nazioni e il massacro degli ugonotti francesi si sarebbe abbattuto sul Cattolicesimo come una zavorra morale e politica. Un peso che avrebbe condotto Enrico IV a promulgare l’Editto di Nantes e dare inizio ad una possibile era di tolleranza (speranza stroncata dal nipote Luigi XIV). Ma, oltre all’indubbio merito di risollevare il velo su un periodo storico così importante, ciò che più si apprezza di questo film è la dimensione narrativa, l’abilità di raccontare che avviluppa nelle sue spire, accompagnata da un’estetica pittorica che non può fare a meno di stregare lo sguardo. Le pieghe cangianti degli abiti, le perle, lo splendore fiammeggiante e sensuale della carne, del sangue, delle spade: tutto concorre ad attrarci come in una corrente vorticosa all’interno di questo feroce teatro. La colonna sonora incantatrice e selvaggia di Goran Bregović contribuisce a farci percepire in tutta la loro carica primitiva i sentimenti e le battaglie che dominavano e dominano ancora l’umanità: l’ansia di supremazia sul più debole, la voglia fisica, la smania di potere. Un cerchio che si chiude con una Margot rassegnata a non poter controllare il proprio destino di donna. È il servo che l’accompagna verso la salvezza in Navarra a farle notare che il sangue del suo amante le cola sul vestito. «Che importa?» risponde lei «Purché io abbia il sorriso sulle labbra».

Credits: La Reine Margot ©Claude Berri 1994
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