
Di fronte alla bellezza di una storia si può dimenticare la Storia, quella vera (anche se non posso fare a meno di provare un minimo fastidio). Di fronte a quei broccati perfetti, agli oggetti d’uso quotidiano, alle armi e alle tende da guerra… è inutile, non si resiste. Quando poi la serie tv in questione ti dà l’impressione di farti conoscere intimamente personalità che hanno fatto la Storia (sempre quella vera) d’Italia e d’Europa, allora non puoi che innamorarti. Arrivi all’ultima puntata de I Borgia di Tom Fontana, che si ferma giustamente nell’anno di morte di Cesare Borgia, il vero motore di tutta la vicenda. L’atmosfera è sempre energica, elettrica, ma già crepuscolare, già si sente il declino in arrivo e Cesare che finalmente si rassegna a lasciare questa terra per perdersi nell’infinito. E poi, scelta splendida, il resoconto della sua morte, attraverso tre punti di vista tutti a lui molto vicini per diverse ragioni. Ecco che pensi: qua si finisce in poesia. Ma scatta il finale di cui nessuno sentiva il bisogno: Cesare Borgia che vuole fare l’americano.

Credits: Borgia © Canal + e altri 2011-2014
Non ho visto finora molte altre serie tv in costume. Per amore del periodo storico, ci ho provato con I Tudors, ma li ho abbandonati senza troppo soffrirne: tutto patinato, tutto al servizio della bellezza fisica dei protagonisti (soprattutto di un Jonathan Rhys-Meyers assolutamente fuori parte), senza un’evoluzione interessante dei personaggi. Non ho visto nemmeno gli altri Borgia, quelli di Neil Jordan, un clan capeggiato nientemeno che da Jeremy Irons: eppure, da quello che leggo online, sembra che anche in questo caso il Rinascimento resti un polveroso ricordo tinto di erotico-soft. E il rapporto fra Cesare e Lucrezia si fa davvero, inopportunamente incestuoso, mentre Fontana e i suoi collaboratori rendono la relazione fra i due viscerale, non fraterna ma sempre sull’orlo dell’abisso, e per questo più vera.

Credits: Borgia © Canal + e altri 2011-2014
Foto tratta da www.lionsgatepublicity.com
Due le caratteristiche vincenti di questa serie tv orgogliosamente europea: la realistica crudezza e un cast azzeccatissimo, anche nei personaggi secondari. L’americano John Doman è un Rodrigo Borgia sornione e serpentino, ma i due campioni della serie sono sicuramente Mark Ryder, che offre un’irresistibile e sofisticata carica vitale al suo Cesare Borgia, e Isolda Dychauk, una Lucrezia che sa evolversi con grazia da bimba in balia di nozze politiche a donna capace di prendere in mano il proprio destino, consapevole dei peccati commessi ma determinata a vivere una vita piena. Molto simile a quella che per me è l’unica vera Lucrezia Borgia, tratteggiata da Maria Bellonci in quello che non è romanzo, né biografia, né saggio storico, ma un’intelligente alchimia dei tre. Ci mancano infatti i documenti certi per costruire una biografia ben ragionata, così come finora è mancata agli storici la compassionevole empatia con cui la Bellonci prova ad auscultare un cuore di donna né santa né demone, costretta, in modo non dissimile da Margherita di Valois, al continuo compromesso con un mondo di uomini. Una donna che riuscì infine a farsi amare per ciò che era: bella sì, ma soprattutto colta, astuta, abile diplomatica.
La serie presenta tutte le caratteristiche di una riattualizzazione: sesso, violenza, potere senza scrupoli ci si parano davanti senza freni, liberi di mostrarsi ad un pubblico che ben li conosce. Ma vi si aggiungono persino la tossicodipendenza (papale, per giunta) e diverse inesattezze storiche e cronologiche. Inesattezze che si riescono però facilmente a perdonare ad una sceneggiatura che fa parlare i suoi personaggi con intelligenza e coraggio, che esplora le loro anime con passione, e che ha la forza di effettuare scelte in pericolo di impopolarità. Ancora una volta, la schiettezza della narrazione è una scelta vincente e non si può fare a meno di parteggiare per questa famiglia ardita e ardente. Peccato solo per quel finale non richiesto: nondimeno, finale stranamente coerente con l’inesauribile energia di Cesare Borgia e del suo sangue italo-catalano.

Credits: Borgia © Canal + e altri 2011-2014

(Roma, Museo di Palazzo Venezia)
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Ottima analisi che condivido appieno. Hai ragione anche sul finale, ma visto l’affetto che mi lega al personaggio magistralmente interpretato da Mark Ryder, ho fatto anche qui come giustamente hai sottolineato tu parlando della serie in generale e delle sue inesattezze storiche: ho chiuso un occhio e me lo sono goduto 🙂
Ciao Massimo! Grazie mille per il tuo commento. In effetti confesso che ho cambiato idea sul finale almeno 10 volte mentre scrivevo l’articolo… E alla fine ho seguito l’istinto! Quindi ami Cesare Borgia?
Ciao Chiara. Lo so, sono in ritardo peggio di un treno di Trenitalia ma rispondo ugualmente 😛
Si, amo molto il Cesare Borgia della serie, anche quando si lascia andare a certi eccessi non riesco a provare antipatia o altro 🙂
… L’importante, come per i treni, è che arrivino! 😀 Io ho una particolare simpatia per il personaggio di Lucrezia, mi sembra un compromesso molto ben riuscito tra fantasia e realtà. Maria Bellonci docet!