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Prima di Barry Lyndon: il Settecento di Kubrick.

L’idea di trarre un film da uno dei romanzi meno noti di William Thackeray (1811 – 1863), che lo stesso autore non amava, può apparire a prima vista una scommessa destinata al fallimento. L’avventuriero irlandese Redmond Barry vi narra in prima persona, e con notevole tendenza alla millanteria, la propria ascesa sociale e la conseguente rovinosa caduta. Ambientato nel XVIII secolo e scritto con Henry Fielding come punto di riferimento, Le memorie di Barry Lyndon (1844) costituisce per il grande pubblico un episodio “minore” dell’opera di Thackeray, noto ai più come autore di La fiera della vanità (1848). A Thackeray piace indubbiamente analizzare personaggi di dubbia moralità (o sicura amoralità), quali lo stesso Barry e l’affascinante e spregiudicata Becky Sharp: entrambi pretendono di superare barriere che affondano le radici in secoli di consolidata tradizione ed entrambi sono destinati a soccombere. L’interesse di un regista come Stanley Kubrick nei confronti di un romanzo afferente alla più pura tradizione picaresca non è semplicemente spiegabile con un’improvvisa infatuazione nei confronti di una storia che il regista si rifiuterà di rispettare: egli ne coglierà infatti il lato più oscuro, svuotando volontariamente i personaggi e la narrazione del loro spessore originario, per dare quindi adito al sospetto che sull’estetica e sulla cultura del Settecento «sia fondata anche la sua concezione del cinema»[1].

La filmografia di Kubrick sembra attraversata da una costante suggestione per la cultura e l’arte del XVIII secolo: tracce significative compaiono già in film come Orizzonti di gloria (1957), Lolita (1962), 2001 Odissea nello spazio (1968) e Arancia meccanica (1971). In Orizzonti di gloria lo scontro ideologico ed esistenziale fra i capi dell’esercito ha luogo in un castello di evidente matrice settecentesca, ma più specifici indizi iconografici ci vengono offerti dalle opere pittoriche presenti: un ritratto di Madame de Pompadour realizzato da François Boucher e uno fra i numerosi dipinti in cui Jean-Antoine Watteau ritrae i teatranti della Commedia italiana. Come rilevato da Sandro Bernardi[2], quest’ultima opera in particolare svela e chiarifica la personalità dei protagonisti con il proprio determinante potere di sintesi.

orizzonti di gloria
Stanley Kubrick, “Orizzonti di gloria”, 1957
Credits: Paths of Glory © Bryna Productions 1957

Lolita ha inizio con la sequenza dell’omicidio di Quilty, colpevole agli occhi del professor Humbert di avergli sottratto l’irresistibile adolescente. Eppure, noi non vediamo Quilty morire: piuttosto ne indoviniamo la morte dietro quello che Bernardi identifica come un ritratto della bellissima e famigerata Lady Emma Hamilton[3] (1765 – 1815), modella di George Romney, Joshua Reynolds ed Élisabeth Vigée-Le Brun, ma soprattutto amante dell’ammiraglio Horatio Nelson. In questa scena la ritrattata ci osserva da una tela crivellata da colpi di pistola, che presumibilmente hanno colpito Quilty. Nel finale il suo affascinante sembiante si manifesterà autonomamente, in una sorta di epifania iconografica, a suggellare la fine di Humbert. Non è certamente un caso che entrambi i personaggi muoiano, anche solo simbolicamente, ai piedi di questa donna dipinta, la cui sfuggente carnalità e il cui aspetto esteriore (copricapo compreso) riconducono inevitabilmente alla prima apparizione di Lolita: domina in entrambi i volti il medesimo sguardo languido ma ferreo che costituirà il punto d’avvio e di ritorno della vicenda, in quella circolarità della narrazione che è tipicamente kubrickiana.

lolita lady hamilton
Stanley Kubrick, “Lolita”, 1962 (particolare del ritratto di Lady Hamilton)
Credits: Lolita © MGM e altri 1962
lolita
Stanley Kubrick, “Lolita”, 1962
Credits: Lolita © MGM e altri 1962

La suggestione del teatro di Watteau e in particolare del suo Gilles (1718-19), dallo sguardo perduto in un altrove misterioso, si tramuta nello sguardo altrettanto torbido, nelle pose indolenti e nei costumi dei droogs di Arancia meccanica, dissacranti Pierrot che sperimentano nella psichedelia la sola quiete prima della brutalità. La stessa scena in cui Alex DeLarge cammina all’interno del drugstore, stretto in un’elegante redingote, si legherà in Barry Lyndon all’ineluttabile percorso di Lord Bullingdon verso il patrigno Redmond Barry: un legame identitario dato non solo dalla consonanza dei costumi, ma dal carrello all’indietro che concretizza quella serpentina «line of beauty» in cui William Hogarth vedeva realizzarsi i principi di bellezza e di grazia[4].

arancia meccanica
Stanley Kubrick, “Arancia meccanica”, 1971
Credits: 2001 A Clockwork Orange © Warner Bros. 1971

Infine, in 2001 Odissea nello spazio vediamo l’astronauta Bowman consumare la sua ultima cena in una stanza arredata e decorata come si usava nel XVIII secolo: stucchi, dipinti e arredamento fanno da significativo sfondo agli ultimi istanti di vita del personaggio, fino all’unheimliche, il perturbante, che ci coglie nel veder comparire al centro della stanza il monolito da cui tutto ebbe inizio e che incarna «la porta del risveglio o del sogno»[5]. Secondo l’ipotesi di Arthur Clarke, sceneggiatore del film, «Dave Bowman, l’astronauta, viene messo sotto osservazione da parte di creature extraterrestri che, per rassicurarlo, gli hanno approntato un ambiente tratto dalla sua memoria»[6]. Osservazione fondamentale che potrebbe spiegare in parte la nota attrazione del regista per la figura di Napoleone Bonaparte, nonché la concezione di strumento esplicativo della modernità che Kubrick vi intravedeva.

2001odissea nello spazio
Stanley Kubrick, “2001 Odissea nello spazio”, 1968
Credits: 2001 A Space Odyssey © MGM e altri 1968

[1]    S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Milano, Il Castoro, 2000, p. 30

[2]    Ivi, p. 66

[3]    Ivi, p. 155

[4]    M. Ciment, Kubrick, Milano, Rizzoli, 1999, p. 114

[5]    F. De Berardinis, L’immagine secondo Kubrick, Torino, Lindau, 2003, p.46

[6]    M. Ciment, op. cit., p. 64

CC BY-NC-ND 4.0 Prima di Barry Lyndon: il Settecento di Kubrick. by Pantoscopio - Cinema e Arte is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.

2 thoughts on “Prima di Barry Lyndon: il Settecento di Kubrick.

  1. Una piccola precisazione sul ritratto utilizzato in “Lolita” : Il prof. Bernardi ha evidentemente preso un doppio abbaglio (a suo discapito possiamo dire che nel 1990 il WorldWideWeb non esisteva ancora) poichè il quadro dietro il quale muore Quilty non raffigura Lady Hamilton e non è dipinto da Joshua Reynolds come egli afferma due pagine dopo nel libro su Kubrick, bensì ritrae Mrs. Bryan Cooke (Frances Puleston, 1765–1818) ed è attribuito a George Romney. Cade quindi anche il successivo riferimento all’ipotetica omonimia tra Emma Lyon (Lady Hamilton) e l’attrice Sue Lyon (Lolita).
    Vedasi il seguente link: http://www.metmuseum.org/art/collection/search/437501

    1. Ciao! Grazie mille per essere passato (o passata?). E grazie mille per questo commento, che mi apre un mondo, come si suol dire 😀 Ne approfitterò per approfondire e correggere! Per il resto, ti sembra che il ragionamento fili?

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