
Abbiamo parlato della ritrattistica e dell’opera di William Hogarth come pilastri della poetica estetica in Barry Lyndon. Ma c’è un ultimo genere pittorico da considerare, e che risulta fondamentale per Kubrick: la paesaggistica. Già nel Seicento il paesaggio inizia a farsi protagonista a sé e nel Settecento pre-romantico assume definitivamente una propria dignità rappresentativa, soprattutto nel panorama artistico inglese. In Barry Lyndon funge nientemeno che da contraltare, esteticamente partecipe o al contrario sovranamente indifferente, alle vicende narrate: nella romantica passeggiata nel bosco di Redmond e Nora possiamo ritrovare la viva attenzione che Thomas Gainsborough attribuiva in egual misura alla natura intima del paesaggio e alle relazioni umane, soprattutto in La passeggiata del mattino (1785); le cavalcate di Barry verso la libertà, prima come innocente raggirato per interesse e in seguito come impostore, sono invece sovrastate dalle nuvole di John Constable[1] e dei grandi pittori olandesi del Seicento come Jan Vermeer (1632 – 1675).

Londra, National Gallery
Proprio Constable è forse in assoluto l’artista più citato in tale contesto e non è un caso che fosse profondamente influenzato dai paesaggi “sentimentali” creati da Gainsborough: sono prova di una particolare attenzione nei confronti di Constable le palesi citazioni di Malvern Hall, Warwickshire (1809), nelle inquadrature in cui appare la residenza della famiglia Lyndon, e del dipinto Chiesa e Valle di Dedham (1800), che funge da sfondo alla fuga di Barry dal borgo natio. Bernardi sottolinea, avvicinandone l’uso alla tecnica del piano-sequenza, come il paesaggio si carichi di un particolare peso all’interno della narrazione. Il continuo ripetersi di tali riferimenti pittorici contribuisce infatti a degradare ulteriormente lo spessore figurativo (e quindi individuale) dei personaggi, fino a giungere al «cuore della scoperta illuminista, la vanificazione del soggetto»[2]:
«è come una via d’uscita dalla storia raccontata, o come un modo per lasciare che questa si dissolva nella trama di una tappezzeria fotologica, come in un arazzo dove anche le figure principali appaiono intrecciate allo sfondo, o come nella pittura di paesaggio dove gli uomini diventano macchie decorative, comuni segni pittorici. […] gran parte della pittura paesaggistica, fin dal Seicento, non è costruita su soggetti narrativi, ma su temi frequentativi, ricorrenti, rituali»[3].

Manchester, Whitworth Art Gallery

Credits: Barry Lyndon © Warner Bros. e altri 1975
Questa operazione ripetitiva fa del paesaggio un’immagine del tempo stesso: vi si accompagna «una progressiva trasformazione in senso frequentativo della storia raccontata, che diventa a poco a poco non più racconto ma descrizione di uno stile di vita»[4]. L’uso figurativo di questo particolare genere pittorico si lega dunque ai precedentemente menzionati movimenti di macchina, nonché alla stessa essenza del mezzo cinematografico: «attraverso lo scorrere del cinema sopra l’arte e dell’arte sopra la vita, in un certo senso paradossale il tempo diventa visibile. Oltre che essere forma pura della percezione, in senso kantiano, il tempo viene percepito esso stesso come forma. […] E poiché la forma del film è temporale, ecco che il cinema, in certi casi, rende possibile vedere il tempo»[5].

Londra, Tate Gallery

Credits: Barry Lyndon © Warner Bros. e altri 1975
[1] S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Milano, Editrice Il Castoro, 2000, p. 96
[2] Ivi, p. 55
[3] Ivi, p. 99-100
[4] Ivi, p. 101
[5] Ivi, p. 105
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